Skabadip is back


 

Un affezionato skabadipper della prima ora, qualche tempo fa, mi ha interpellato via mail sui Rude Boys. Voleva sapere chi erano veramente, cosa pensavano, qual’era il loro stile di vita e se avevano una filosofia.
Io ho risposto - poco concisamente come sono solito fare e nei limiti delle mie conoscenze - ma ho anche fatto l’errore di inoltrare la mia mail anche al Boss Alessandro che, subito (probabilmente per soddisfare sue pruriginose curiosità), non ha perso l’occasione per ordinarmi di sistemare la mia risposta al fine di trarne un bell’articoletto per quel dispensatore di cultura ska che è SkabadiP.
Detto e, con “qualche" aggiunta qua e là dopo approfondimenti, fatto.




La Storia


Devo innanzitutto fare un’ovvia premessa prima di annoiarvi a morte: io non sono stato svezzato – per mia fortuna – nella Kingston dei ruggenti anni ’60 - anche se devo ammettere che durante il mio breve viaggio sulla Green Island un piccolo rude boy, fatto di crack, l’ho incontrato e mi ha pure minacciato con un classico, famigerato “ractchet"! - e, quindi, non ho certo la pretesa di sapere cosa pensavano i rude boys e come effettivamente se la passavano, ma da quello che ho visto, ascoltato o solo sentito da quando sono un appassionato di musica ska (anche parlandone coi protagonisti musicali) mi sono fatto una mia idea precisa che, tosto, vi propino cominciando da alcuni dati storici in ordine rigorosamente non cronologico.
Il primo a nominare i rude boys in un brano Ska è, quasi certamente, Prince Buster con la sua ottima "Rude Rude Rudy" del 1965.
Nell’introduzione dell’affascinante strumentale Prince Buster dice in tono declamatorio: "You say you are a rude boy/You also say you can't go to jail/But you live in a glass house" e, conseguentemente, ammonendo: "So don't throw stones".
Notare che Prince Buster è piuttosto qualificato nel cantare di rude boys essendo stato da ragazzino capo di una gang, avendo tirato semiprofessionalmente di boxe ed essendo stato per qualche anno capo del “servizio d’ordine" di Coxone. La leggenda narra che durante uno show del sound system di Coxone, Buster abbia “salvato il culo" all’aiuto DJ, talentscount e uomo “tuttofare" di Mr. Dodd, Rainford Hugh “Lee" Perry, da una coltellata sferratagli dall’anonimo dance crasher di turno che voleva dimostrare quanto fosse rude (e del quale, successivamente all’evento, non si è saputo più nulla).
Se quello di Prince Buster è, dunque, il primo brano in cui viene pronunciato il nome "rude boy" (l’ambito del brano, come si intuisce dal testo riportato, è pedagogico), l'attitudine ad esserlo era in voga già da almeno 6 anni, sbagliandomi in difetto solo se lo shuffle strumentale accreditato al Duke Reids’ Group (Arkland Parks, Cluett Jhonson, Rico Rodriguez ed Ernest Ranglin) ed intitolato "The Rude Boy" fosse stato registrato precedentemente al 1959 (come del tutto probabile atteso che the Duke aveva iniziato a registrare nel 1957 e solo successivamente, in concomitanza con la diffusione dei giradischi, stampò in serie 45 giri). Oppure, sbagliandomi del tutto nel caso che lo stesso brano sia stato semplicemente reintitolato al momento dell’uscita in vinile.
In effetti, comunque stiano le cose, chi meglio del produttore del pezzo Mr. Arthur “the Duke" Reid, un ex poliziotto che andava in giro con un bel cannone infilato nella cintura dei pantaloni per incutere timore, era più adatto a concedere il primo riconoscimento pubblico della loro esistenza ai più cattivi dei ragazzi dei ghetti di Kingston?
Nel periodo "clou" dello Ska (1964/65) si parla, intendendo sempre lo stesso fenomeno, anche di "Hooligans" (the Wailers, un gruppo cult per i rude boys di TrenchTown che avevano esordito neppure un anno prima con “Simmer Down" anch’essa favorita dai rude boys) e di "Dance Hall Crashers" (Alton Ellis & The Flames [Winston Jarrett]) riferendosi alla medesima realtà.
Ad aggiungere “carne al fuoco" ci si mettevano, volontariamente o meno, anche gli artisti: famosi sono gli scontri musicali che avvennero tra i fan di Derrick Morgan e Prince Buster (quando il primo lasciò il secondo per andare a lavorare per Leslie Kong, Buster gli dedicò una sprezzante “Blackhead Chinaman" e Morgan gli rispose con la famosa “Blazing Fire").
Si trattava di invettive contro i rivali, molto comuni nella tradizione musicale giamaicana (ricordo Lee Perry contro Prince Buster in “Prince in the pack", un giovanissimo Delroy Wilson lanciato all’attacco sempre di Prince Buster da Coxone con “Spit in the Sky" e “Joe Liges") fatte solo per gioco, per gusto dello scherno come testimonia il fatto che lo stesso Perry mentre scriveva canzoni pungenti come “Help the Weak" contro “l’avversario" partecipava alle sue session per “Judge Dread" e “Ghost Dance".
Nel caso di Morgan e Buster, però, tali invettive vennero prese così sul serio dai rispettivi rude boy fan che questi si davano mazzate in giro per le dance hall di Kingston, a colpi di lama!
Per diretto interessamento dei politici giamaicani i due dovettero addirittura stringersi la mano pubblicamente per dimostrare ai loro esagitatissimi aficionados che, in realtà, di acredine tra di loro non ce n’era mai stata.
Il periodo più duro di scontri rimane fotografato nella musica del 1966/1967 durante i quali il termine "rude boy" è, in Giamaica, nazionalmente acquisito. In realtà, tra i rude boys ci sono semplicemente migliaia di giovani, letteralmente figli di nessuno, poveri com’è dolorosamente povero il Terzo Mondo, che vedevano nella figura del rapinatore - in quello che faceva la grana facile e che perciò poteva permettersi anche gli status symbol propinati via cinema - la possibilità di “raggiungere lo scopo" velocemente, a qualsiasi costo…tanto, da perdere, nessuno di loro aveva nulla.
Alcuni, senza ombra di dubbio, sono stati salvati dall’arte della musica che, a ben guardare è stato un altro modo, molto meno pericoloso, di guadagnarsi quegli stessi status symbol. Forse anche per questo, anche la competizione musicale è sempre stata di una certa cruenza in Giamaica.
Un gran numero di brani, insomma, tra il 1966 ed il 1967 (ne danno una esaustiva summa la mitica raccolta della Trojan del 1993 “Rudies All Round" opportunamente sottotitolata “Rude Boys Records 1966/1967" e quella che l’aveva preceduta “Tougher than Tough" del 1992) sono dedicati a quelli che vengono ora definiti da tutti come "Ruud Buois" e che, in effetti, crearono parecchi disordini nella città caraibica, tanto da costringere il governo a mandare i soldati ("Copasetic" dei Rulers e “Gunmen Coming To Town" degli Heptones, per tutte) a presidiare le strade e a dar man forte ad una polizia famosa - anche - per la propria brutalità. (Lì, come condanna per tutta una serie di reati, davano frustate, mica patteggiavano!).
Sono di tale periodo alcuni degli ska/rocksteady più affascinanti che siano mai stati registrati in Giamaica: “Too Hot" sempre di Prince Buster (come la citata “Judge Dread" in cui Buster, nelle vesti del Giudice Terrore, condanna tra gli altri il rude boy Emmanuel Zacharias “Zackie" Pom, ovvero Lee Perry, a 400 anni di galera!), “Rude Boy Train" e “Rudy Got Soul" di Desmond Dekker", “Blam Blam Fever" dei Valentines (aka the Silvertones); “Rudie Bam Bam" dei Clarendonians, “Rudies All Round" di Joe White e tante altre ancora. Molte, come si capisce dai titoli sono “a favore", inneggiano ai ragazzi rudi, altre, condannano le pessime attitudini, altre ancora vogliono portare alla retta via tipo la super famosa “Rudy A message To You" di Dandy Livingstone.
Alcune, in particolare, facevano riferimento indirettamente alle gesta di un vero rude boy, tale Vincent “Ivanhoe" Martin, detto “Rhyging" della cui vita dà precise informazioni Chris Prete nel retro copertina dell’album Tougher Than Tough (Trojan 1992) un disco dedicato al Rude boy ska, rocksteady & reggae.
Vincent Martin era un tipo bassissimo, cattivissimo e con un innato odio delle leggi. Non aveva, forse, tutti i torti dato che nessuna legge gli aveva permesso di guadagnarsi da vivere legalmente da quando, appena quattordicenne, era scappato dalla casa di campagna infilandosi in un camion che viaggiava alla volta di Kingston.
Da piccolo criminale, dopo alcuni vittoriosi scontri con la polizia che lo ricercava per una serie di rapine, divenne un mito per chi abitava i malfamati quartieri di Kingston 11. Quella stessa gente lo protesse, poi, a spada tratta dalle forze di polizia una volta che Martin evase in maniera rocambolesca dal penitenziario dove era stato appena portato.
La gente malfamata lo considerò da subito un eroe, fino alla sua spettacolare morte, questa si, degna di un film, crivellato di colpi dalla polizia sulla spiaggia di Lime Clay non prima, però, di aver ammazzato 3 poliziotti ed averne feriti altri 2.
I fatti sono efficacemente raccontati dal film culto (non solo per la fantastica colonna sonora!) “the Harder They Come" di Perry Hanzel del 1971 in cui il leggendario rude boy venne interpretato da un insospettabilmente bravo ed artisticamente adulto Jimmy Cliff.
Il film, consigliatissimo a chi volesse approfondire l’argomento e di cui SkabadiP ha avuto modo di occuparsi, è da circa un anno disponibile in formato DVD, quindi, se non avete idee per i regali di Natale…
Nel film, comunque e senza indulgenze giustificazioniste di ambito sociologico (sapete, cose tipo: “è colpa della società"), il personaggio principale non è costretto a diventare un rude boy, fa solamente e stoltamente delle scelte sbagliate che lo portano a diventarlo. Ed in più lodiventa per una ragione piuttosto futile, per raggiungere determinati status symbol facendolo come nei film ed assumendo l’atteggiamento dei duri delle pellicole western (quelli di Sergio Leone o con Franco Nero andavano forte!), gangster (“Alcapone guns don’t argue!") o spy story (007!).
Nella ricostruzione del regista e documentarista Perry la cosa è accentuata perché “Ivanhoe Martin" interpretato da Cliff è anche un eccellente cantante e compositore e, quindi, dotato di una possibilità in più per emergere che, forse, a “Rhyging" mancò!
Col cambio dallo ska al rocksteady sembra che tutti i malanni sociali della Giamaica esplodano insieme alla delusione per un troppo propagandato benessere da parte dei politici e del quale, nei fatti e a ben 4 anni dalla raggiunta indipendenza, non v'era alcuna traccia nella pesante realtà sociale di tutti i giorni.
La gente è in costante emigrazione dalle campagne verso la sempre più popolosa Kingston (come testimonia il citato film) e non è un caso che gli Ethiopians, nella metà del 1968, siano diventati largamente famosi proprio con “Everything Crash", una canzone che descrive meravigliosamente bene una situazione che sembra poter solo peggiorare: “What gone bad a morning can’t come good a evening woy, Every day carry a bucket to the well, one day the bucket bottom mus’drop out, Every Crash!" cantavano gli Ethiopians.
Tra l’estate del 1967 e la primavera del 1968 la situazione era, infatti, tale che la polizia del Primo Ministro Shearer aveva ammazzato ben 31 persone in varie circostanze ed alcune erano state ammazzate per errore o per gratuita brutalità. Al centro del ciclone e, per giunta, anche retribuiti con stipendi da fame (una delle cause principali della corruzione dilagante), pure i poliziotti scioperarono! Andava veramente tutto a catafascio.
Un’ultima considerazione a tal proposito è che, oggidì, la povera Giamaica è, nel mondo, seconda solo alla Colombia per morti ammazzati in scontri a fuoco tra “gunmen". Ad oggi sono più di 40, per lo più intorno a Kingston ed il 2002 non è ancora finito!
La parola “rude boy" e le tematiche legate ai giovani che si scontrano nel ghetto tra loro o con la polizia, rimangono ancora oggi piuttosto in voga anche in Giamaica, cambiano i ritmi ma certi temi restano gli stessi. E, infatti e se non ho avuto allucinazioni, negli anni ’90 m’è parso di vedere, sugli scaffali reggae che frequento (e/o frequentavo), dischi di ragga digitale con titoli o nomi di artisti tipo Ruud Buoy Staylee, o simili. Avendo solo sporadicamente ascoltato quella musica approfitto di questo spazio per chiedere aiuto a chi avesse informazioni a riguardo, gliene sarei grato.
Si parlerà nuovamente di rude boys, intendendo prettamente un vero e proprio fenomeno di costume sviluppatosi al seguito dell’etichetta Two Tone (ovvero Jerry Dammers).
Tra il 1979 ed il 1981 erano rudi gli Skinheads che si riconoscevano negli "sporchi e cattivi", oltre che sentirsene i diretti discendenti per aver avuto il reggae nel DNA almeno fino dal 1968; lo erano, o erano considerati tali dai media, molti "ska", gente che non era nè mod, nè skin, ma amava semplicemente la musica propinata da Specials, Madness, Beat e compagnia skancheggiante assumendone l’affascinante look fatto di occhiali da sole e vestiti da beat.
Ovviamente, rudi, lo erano e lo sono i mods (che erano stati affascinati dallo ska prima che gli skin lo fossero dal reggae) e che, però, nell'attività del "rude" facevano rientrare anche l'uso sconsiderato di anfe. Ma le differenze tra le "specie" erano, alle volte, decisamente tenui, soprattutto per i media che tesero, all’epoca, a fare un calderone di tutto.
Per lo più, però, con “rude boys" verranno identificati gli appartenenti al movimento dei nuovi seguaci dello ska: “Con gli Specials e i Selecter, i Madness sono gli artefici del fatto musicale più nuovo e importante avvenuto in Inghilterra dai tempi del punk-rock: il movimento dei cosiddetti “rude boys", ovvero i “duri". Che di vero e proprio movimento si tratti, non c’è alcun dubbio: esso investe fattori di ordine razziale, sociale, musicale. Sotto il profilo razziale, nasce all’insegna del Bianco e Nero. Bianchi e neri sono i componenti dei gruppi (ad eccezione dei soli Madness), bianco e nero il clore dei loro caratteristici abbigliamenti, eccetera. Sotto il profilo sociale, tutti i membri dei gruppi (oggi si sono uniti con successo i Beat, i Bodysnatchers – sembra che l’autore del pezzo non sapesse si trattasse di una band tutta femminile! ndr – i Dexy’s Midnight Runners) appartengono al sottoproletariato londinese: i bianchi sono per lo più ex punks o ex skinheads, i neri sono immigrati giamaicani (di qui l’appellativo di duri, di “rude boys" appunto)". Così sintetizzava, nel 1981, il giornalista Manuel Insolera in un articolo tratto dalla rivista “High Fidelity Musica" e riproposto sul retro dell’EP dei Madness “The Nutty Boys" (Stiff/RCA Italia).
L’autore dell’articolo citato, oltre a non sapere che le Bodysnatchers erano un gruppo tutto femminile, non sapeva certamente della tradizione giamaicana del rude boy ma, nonostante ciò, quello che scrive è senz’altro corretto e “rende l’idea" dell’ambiente anni ’80, dominato da bande giovanili tutte più che distinguibili da precisi look identificativi.
Le creste doppie, triple dei punk coi chiodi nelle orecchie e le spille da balia nelle narici; gli stivali di pelle nera da rancheros dei rockers; il “chiodo" pieno di borchie e spille del metallaro; la spettralità dei dark che parevano veramente stare tra la vita e la morte con le loro facce bianche ed il rossetto nero; le teste rasate degli skin heads in bomber, bretelle basette e marten’s ciliegia; i mods, coi loro parka e le clarks come usarono poi fare anche i “cinesi", quelli dei gruppi giovanili dell’estrema sinistra, che aggiunsero kefiah e pantalone sdrucito; i nemici giurati di questi ultimi, gli abbronzatissimi paninari e, prima di loro, i “fasci" sanbabilini in Ray Ban a goccia, bomber e stivaletti neri i quali ultimi erano soliti vedersela a tu per tu con i simpatici picchiatori del disciolto partito Autonomia Operaia (ovvero i “nonni" degli odierni punkabbestia); rockabilly in banana e basettoni impomatati. Insomma, tutta questa fauna, compresa quella, abbondante, esclusa dall’elenco per questioni di spazio, si riconosceva all’istante in mezzo alla strada e se spesso si incrociava senza degnarsi reciprocamente di uno sguardo, non di rado ragionava abbastanza rudemente.
Oggi, sparite “le bande" ci si sente “rudi" per via della passione per la musica ska e derivati, con minor interesse per quel look affascinante fatto di giacche a tre bottoni, cravattine nere, Martens’, crombies, bretelle, pork pies che, senz’altro, di quelli elencati, era uno dei migliori.
Dati questi brevi cenni “storici" posso passare alla seconda parte di questo breve articolo e ai capisaldi - se ce ne sono - della filosofia e/o stile di vita del vero rude.



La filosofia


Una filosofia del rude non credo che sia mai esistita e se è esistita non era dissimile a quella (che certo non può dirsi "filosofia") delle violentissime bande giovanili americane e di quelle analoghe giamaicane che oggi trafficano allegramente in stupefacenti ed armi e causano gli alti numeri di vittime di cui ho detto.
Per molti Skinheads, invece, essere rudi significa semplicemente essere se stessi ovvero, più in particolare, superata l'età degli studi: il lavoro, la birra, la musica Oi! da pogare, la musica Ska (e qui non si scampa alla vera distinzione tra uno che è rude e uno che non lo è) rigorosamente da skancheggiare, il tifo allo stadio alla domenica, la propria donna che non necessita essere skin; no politics e gli Amici con la "A" maiuscola. A ben guardare si potrebbe dire che essere rude boy per certi skin è una sana normalità anche se, dati certi temperamenti, ogni tanto ci scappa una rissa.
Io, personalmente, credo che la figura del rude boy in senso stretto, ovvero quella giamaicana, abbia affascinato, più di quello che a conti fatti meritasse, gli europei che via via sono entrati in contatto con l'affascinante (appunto) mondo dello ska e del reggae e, di lì, con la tradizione folkloristica giamaicana.
I gruppi inglesi, in particolare gli Specials, hanno contribuito a rivivificare il "mito" facendo le cover di canzoni come “Rudy, a Message To You", “Too Hot" o “Rude Boy Out Of jail" che andavano a braccetto con loro originali di analogo ambito tipo “Concrete Jungle" ed eccitando, così, la fantasia di tanta gente che ha cominciato ad identificarsi nel rude boy, vestito bene, aggressivo quanto basta e, soprattutto, innamorato di un ritmo senza eguali.

a cura di Sergio Rallo

 



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