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CLANCY ECCLES

(The King of Reggae)


Clancy Eccles

A sentire il suo nome per esteso, bisogna dire che Eccleston Adolfee Elanza Eccles fece proprio bene a cominciare ad usare, dai 19 anni in poi, il nickname “Clancy”, quello con cui il Sig. Eccleston è divenuto famoso ed è tuttora profondamente amato e stimato da una vasta, trasversale, audience di amanti di Reggae e Ska sopraffini.

Per introdurvi, per chi ne avesse bisogno, all’Artista vi dico subito che non c’è giovane che fu skinhead o semplice amante della musica delle ex colonie  nell’Inghilterra del 1969 che non abbia ballato le sue formidabili “Fatty Fatty”, “Feel the Rhythm”, “Herbsman Shuffle” (interpretata da un King Stitt in ottima forma) o “Mr. Midnight”, uno strumentale definito “glorioso” da critici musicali inglesi ben più preparati di me.

Feel The Rhythm

Per accennare, poi, ad altre sue “hits” ben radicate nell’immaginario dello Ska più recente, posso dirvi che la sua “Molly” datata 1970, pur senza essere stata un successo nella terra natia, ne trovò invece nei club londinesi ed il caro Judge Dread, assiduo frequentatore degli stessi, ne è stato il maggior diffusore tra il pubblico reggae e ska moderno con la sua versione del 1973 che fu, tra le altre cose, la prima canzone nella storia della musica i cui proventi andarono offerti all’Etiopia.

A diffondere “Fatty Fatty”, invece e come ben sanno quelli della mia età, è stato Buster dei Bad Manners, fino a  farne uno dei propri cavalli di battaglia nonché uno dei brani “storici” dell’epoca cosiddetta “Two Tone” (1978/1981)…e pensare che a Clancy l’ispirazione per il pezzo gli venne giocando in studio di registrazione con una pargola paffuta!     

Introdotto così il personaggio, andiamo alla biografia.
Clancy nasce in Giamaica, distretto di Dean Pen, regione di St. Mary, nel 1940 e viene subito attorniato da una, tipica, numerosissima famiglia caraibica.
Il padre tirava a campare facendo il sarto e manteneva le numerose bocche da sfamare col suo negozio a Kingston. Perde la mamma che non è ancora quindicenne e, a casa della nonna, ove poi si trasferisce, si appassiona per la musica di gente, tra gli altri, come Sammy Davis Jr., Nat King Cole e Louis Jordan, ascoltati insieme a molti altri Grandi della musica alla radio perennemente accesa in quella metà degli anni ‘50. Nasce, così, in Clancy, la sincera ispirazione di fare il cantante.

La sua prima “occasione” si presenta nel 1959 e qui mi fermo un istante per fare il “fermo immagine” – no, io non c’ero, è per quello che sarà sbiadito! - alla nascente industria discografica giamaicana nel 1959.

Il 1959 è l’anno di transizione per la musica tradizionale della Giamaica: a quell’epoca, ormai, le radio americane trasmettevano praticamente solo R(ock)&R(oll) e, sempre quell’anno, i primissimi Sound System operators alcuni dei quali attivi dalla fine degli anni ’40 (tra i principali: Count Nick the Champ, Goodie’s - che, a detta di Bunny Lee, è stato il primissimo sound system giamaicano - Tom The Great Sebastian, Count Smith the Blues Blaster, Doc’s the Thunderstorm, V Rocket) cedono definitivamente il passo agli “operatori” di “seconda generazione”. Quelli che registreranno a tutto spiano i talenti locali dando il “ciack! si gira” all’industria discografica isolana. Tali nuovi operators nulla avevano da invidiare ai loro predecessori quanto a soprannomi pittoreschi: Vincent “King” Edwards, Arthur “Duke” Reid e Clement Seymour Dodd detto “Coxone”, i cosiddetti “Big Threes”. Corre per la Giamaica, inoltre, il fermento politico che preparerà la sua stessa indipendenza.

I primissimi dischi stampati in Giamaica (se ne stampavano almeno dal 1951) non potevano che essere di musica Mento o Calypso e furono registrati e prodotti su impulso di uno degli antesignani di tutti i produttori ovvero Stanley Motta che, forte pure di appoggi in Inghileterra, con la sua etichetta MRS produsse un lusinghiero numero di dischi “folk”, nessuno destinato a sfondare nelle classifiche dove ancora imperversavano lo swing delle big band jazz e il R&B; è solo nel 1959, però, che un brano shuffle registrato, prodotto e stampato in Giamaica entra nella classifica, si tratta di “Boogie in My Bones” di Laurel Aitken (non certo alla sua prima registrazione) che fece, col successo che ottenne, da apripista al successo di molti altri. Sempre nel 1959 molti che subodoravano l’affare si stavano preparando ed organizzando per fare i produttori (Prince Buster, per dire, abbandona Coxone nel 1960 ed anche le prime produzioni di Lloyd “The Matador” Dealy sono dello stesso anno). Chiusa la lunga parentesi. [Sergio, la storia dello Ska l'hai già scritta...]

Tornando all’occasione che si presentò a Clancy dunque proprio in quel fatidico anno, si trattava di un’affollata audizione al Ward Theatre nella downtown di Kingston, voluta da un giovanissimo Sig. Dodd ed alla quale Clancy partecipò senza pensarci due volte. Studio One avrebbe visto la luce solo qualche anno dopo, nel 1963.
Clancy, pur piazzandosi al quarto posto (tra più di 60 competitori), piacque a Coxone ed il risultato di tale apprezzamento si concretizzò nella registrazione, sempre nel 1959, di 2 canzoni in stile “proto ska”, “shuffle”, “r&b” o come più vi piace chiamarlo, intitolate “I Live and I Love” e “Freedom”. Quest’ultima, in particolare, oltre a denotare la primaria ispirazione politica del giovane Clancy è ascrivibile, ritmicamente parlando, tra i veri primissimi ska. E’, infatti e come ho avuto modo di scrivere altrove, decisamente “up beat”. Sulla ritmica, però, Clancy non poteva avere grande influenza essendo determinanti per l’accompagnamento i soli musicisti. La canzone avrà, inoltre, successo per quasi 3 anni; venduta sotto forma di dub plate, prima, stampata con etichetta anonima poi, e, infine, riprodotta su 45 con etichetta e su varie raccolte tra cui ricordo uno dei due recenti LP della Studio One intitolati “History of Ska” ed il primissimo LP di Coxone “All Star Top Hits”.
Clancy registrerà la canzone nuovamente, in versione reggae, 10 anni dopo in un diverso contesto politico.
 

Ho accennato, prima, alla ritmica. Essenziale, in quella ritmica, la chitarra di Ernest Ranglin che, non a caso, ritroveremo affianco a Clancy pure nel passaggio dal Rocksteady al Reggae. Gran parte dell’effetto “ska” è tutto in quella chitarra, mentre la batteria di Arkland Parks detto “Drummago” ed il basso di Clue J già indicavano la direzione che il R&B giamaicano avrebbe preso.
Coeva a “Freedom”, è un altro proto ska dal titolo “River Jordan”, ove l’ispirazione è religiosa e l’andamento ritmico è più americano, mentre la melodia sembra influenzata dai canti provenienti dalle foreste di Wareika Hill piuttosto che dallo shuffle americano. Interessante notare come “River Jordan”, registrata successivamente a “Freedom”, venne stampata su vinile e distribuita un anno prima.
Entrambe le canzoni, comunque, furono suonate e ballate per anni nel sound system di Coxone che, se non erro, rimase aperto fino alla fine dei ’60, quando Dodd decise di “abbandonare” le strade e dedicarsi solo alle registrazioni, non ultimo anche per l’incrementata violenza urbana.
“Freedom” ebbe, inoltre, parecchio successo anche grazie al fatto che piacque parecchio al DJ “residente” di Coxone dell’epoca, mi riferisco al quasi leggendario Count Machuki che la metteva più volte durante le sue serate per il sound system Downbeat. Nota di colore: le percussioni nella registrazione le suona Coxone in persona.
A differenza di molti altri suoi colleghi, anche perché si manteneva con l’attività di sarto alla moda confezionando abiti per vari artisti e produttori tra cui lo stesso Coxone, Carlos Malcom, Derrick Harriott e molti altri, Clancy non si è mai legato per lunghi periodi ad un determinato produttore volendo, da spirito libero quale ancora oggi è, fare le proprie cose e farle senza l’assillo della competizione violenta come ironicamente sosterrà qualche anno dopo nel 1967 col suo talking rocksteady, in stile Prince Buster, dal titolo “The Big Fight”, dove Clancy fa una divertente radiocronaca di un incontro di boxe tra nientemeno che Coxone e Prince Buster, il primo “the Sir”, l’altro “the Prince”. Mentre il cronista è lui, Clancy, che si appella come “Pity Mi Lickle” patois per “peccato che son piccolo”.
Le botte, ovviamente, sono tutte per Dodd, uno dei personaggi cui in assoluto la nostra musica deve tutto il suo sviluppo ma che, certamente, non si è sempre potuto comportare correttamente con tutti.
Tra il 1963 ed il ‘66 Clancy non è particolarmente prolifico, riducendosi la sua produzione più famosa a qualche ska non di primaria importanza come la risposta a “Sammy Dead” di Monty Morris dal titolo “Sammy No Dead” per la Pottinger (che iniziava proprio allora la sua attività di produttrice di ottimo rocksteady).
 

Nel 1966, pur essendo sempre piuttosto impegnato dal lato sentimentale (pare fosse uno sciupafemmine che si godeva la discreta fama raggiunta) Clancy Eccles interveniene fattivamente nella veste di produttore – di se stesso e di tanti altri artisti - sulla scena musicale più creativa di quel decennio.
Esordisce registrando negli studi di Coxone 2 tracce tardo Ska da lui interpretate: “Darling Don’t Do That” che l’anno successivo viene riproposta anche in stile rocksteady e “Gunstown” una traccia “minore” nella produzione del Nostro ma palesemente riferita ai violentissimi disordini di quell’anno.
Tra il 1967 ed il 1968 Clancy non solo interpreta molte canzoni scritte da lui tra cui le bellissime “the Revenge”, “Don’t Brag Don’t Boast”, “What Will Your Mama Say” che ogni bravo appassionato di Rocksteady dovrebbe conoscere a menadito, ma anche produce tutta una serie di artisti tra cui Monty Morris (ricordo “My Lonley Days” e “Say What You’re Saying”), Hamsley Morris (di cui non posso esimermi dal citare l’ottima “Stay Loose”), Larry Marshall e The Beltones (sia il cantante che il gruppo acclameranno come loro lo sviluppo del reggae) ma anche Alton Ellis e Joe Higgs.
Clancy si serve, per le perfette ritmiche che sostengono ogni melodia del periodo creativamente più fausto (1967/1971), della “solita” formazione variabile di musicisti che, dal 1968 in poi, sarà indicata sempre come The Dynamites, ovvero Paul Douglas alla batteria, Clifton “Jackie” Jackson al basso, “Hux” Brown alla chitarra, Winston Wright alla tastiera e Gladstone “Gladdy” Anderson al piano. Certi loro strumentali - tipo la citata “Mr. Midnight”, la bellissima “Last Call” originariamente intitolata “Tribute To Drumbago”, ma anche una “Rough Road” con un Winston Wright da brivido e l’eccitante accompagnamento per la gioiosamente volgare “Open Up” del 1969 - sono veramente dinamite!
 

Per chi ha i pruriti da formazione posso dire che solo tra il 1966 ed il 1968 si sedettero sullo sgabello del batterista per Clancy, oltre il citato Paul Douglas e solo per nominare i più famosi, Joe Isaacs, Winston Grennan (recentemente scomparso) e Hugh Malcom. Nell’ellepì “Fire Corner” del 1969, tra i batteristi, risulta anche tal Gladstone Bailey, il cui nome non mi è capitato di rincontrare. Scorrendo le note degli ottimi CD dell’etichetta Jamaican Gold, alla chitarra si sono alternati per Clancy Eccles il meglio assoluto, ovvero Lyn Taitt, Ranglin, Hux Brown e Ronnie “Bop” Williams.
Volete che non vi dica, poi, i bassisti per il medesimo periodo? Nel 99% dei casi è sempre Jackie Jackson, nei restanti si tratta per lo più di Brian Atkinson di fama Soul Brothers e Boris Gardiner che alternava l’attività di cantante con quella di bassista dal tocco giusto o viceversa.
Tra il 1967 ed il 1971, come si è capito, Clancy dà il meglio di sé, non solo imponendosi da cantante e da produttore, ma, nell’ambito di tale ultima attività emergendo tra la vastissima schiera di nuovi produttori, alcuni già affermati sul mercato (come la Signora Sonia Pottinger, JJ Johnson, Joe Gibbs o l’altrettanto talentuoso Leslie Kong) nonché aiutandone altri ad emergere come nel caso dell’inquieto Lee Perry.
Fu infatti Clancy Eccles ad aiutare economicamente ed artisticamente Perry - uscito “sbattendo la porta” da Studio One 2 anni prima - nella sua primissima produzione ovvero quella che portò Perry al suo primo successo di autore indipendente: “People Funny Boy”.
E, forse, non ha torto Clancy ad indicare la sua “Great Beat” (alla chitarra Ranglin e Peter Tosh alla melodica) come il primo brano “reggae”, se non altro per l’influenza ritmica proprio su tracce di poco successive come la citata “People Funny Boy” di Perry (che non a caso, a sua volta, l’acclama come vero primo brano “reggae”).
Nel 1969, ad un decennio dal suo debutto sul palco, Clancy è tra i sostenitori di un reggae dominato dalla tastiera e, a differenza della musica prodotta fino all’anno precedente, le nuove produzioni del Nostro hanno suoni più profondi ed ipnotici, e sono influenzate - anche - da una moda che si andava affermando in quel periodo, ovvero il DJ (consistente, come ogni buon skabadipper è tenuto a sapere, nell’improvvisare su vecchi ritmi rocksteady incitazioni alla danza o addirittura, come nel caso di U Roy, interi dialoghi).
Sempre tra il 1969 ed il 1970 registra – e pubblica per lo più col centrino delle sue 2 etichette Clan Disc e New Beat - brani dai ritmi irresistibili come “Auntie Lulu”; “People Like People”; “Dollar Train”; “Fire Corner”; “Lee Van Cleef” e, interpretata da un ottimo King Stitt, la bellissima “Oh Yeah”.
 

Il meglio del periodo è raccolto senz’altro nei 2 album Trojan “Freedom” (1969) e “Herbsman Shuffle” (1970). Fortunatamente, oltre alle riedizioni della stessa Trojan ci sono anche le eleganti raccolte della Jamaica Gold che aveva in progetto di produrre una decina di CD con l’opera omnia di Clancy, progetto che pare essersi interrotto dopo soli 5 CD che bastano, però, a soddisfare la brama per la musica di Clancy e le cui copertine vanno ad abbellire la presente “bio”. Merita una nota particolare il primo CD della serie dal titolo “Feel The Rhythm” poiché contiene una extended version di “Fatty Fatty” di ben 5 minuti e 30 di durata che non avevo mai avuto il piacere di ascoltare con tutti i suoi simulati orgasmi di donna!

Dal 1971 in poi l’attività discografica di Clancy rallenta e diviene, via via che avanza la decade dei ’70, sempre più sporadica. Le tematiche diventano sempre più incentrate sulla politica e in politica (come altri suoi colleghi) si “butta” sostenendo con una canzone ad hoc “Rod of Correction” la campagna elettorale del capo del partito PNP (People’s National Party) ovvero Michael Manley e, essendo la musica una vera e propria forza trainante di voti, Clancy divenne una specie di consulente artistico per l’uomo politico destinato a governare la Giamaica per ben 8 anni.

Per le elezioni del 1972, infatti, il gruppo con cui Manley viaggiò per la nazione per la sua propaganda politica venne chiamato “Bandwagon" ed includeva Clancy e molti altri artisti dichiaratamente di sinistra e filocastristi come il loro leader politico, parlo di Delroy Wilson, Max Romeo, Judy Mowatt e, ovviamente, Bob Marley, tutti scrupolosamente “arruolati” da Clancy.
“Rod Of Correction” (ovvero un bastone da passeggio lasciato a Manley da Hailè Selassiè e, quindi, carico di significati politici e religiosi) non è l’unica canzone di Clancy nata per fare proselitismo, c’è anche la famosissima “Power for the people”, uno degli inni della gente sofferente del ghetto insieme a “Revolution” di Marley e “Better Must Come” di Delroy Wilson.

La contrapposizione politica, purtroppo, era (e tutt’ora non lo è, se non erro solo l’anno scorso ci sono stati almeno una dozzina di morti a Kingston per ritorsioni  tra sostenitori del PNP e del JLP “Jamaican Labour Party”) anche fisica, contandosi a decine i morti tra le opposte fazioni.

A elezioni stravinte, Clancy registrerà “Hallelujah Free At Last” e, trovando l’entusiasta consenso di tutti i rasta, “Ganja Free”. Ma il 1972 sarà l’inizio di uno dei periodi peggiori per la Giamaica: crisi sociale; crisi petrolifera mondiale che manda in crisi la fragilissima economia dell’isola con un’inflazione indotta al 30%; crisi con gli americani che vedevano in Manley un personaggio troppo pericolosamente simpatizzante di Castro e quant’altro. Nonostante tutto, sempre col sostegno di Clancy, nel 1976 il PNP vince nuovamente le elezioni per tornare definitivamente all’opposizione dopo tragici eventi nel 1980.

Da allora, oltre a ristampare i suoi dischi di ottima musica Clancy solo sporadicamente, produce nuovi brani ma la creatività che ha caratterizzato l’Autore tra il ’67 ed il ’72 non s’è più vista. Ciò non toglie, comunque, che Clancy Eccles sia stato, durante quel periodo, uno dei produttori e degli artisti che hanno maggiormente influenzato il sound del Reggae.

Chissà che qualche etichetta non riesca ad ingaggiarlo per un tour di Rocksteady & Reggae revue, sarebbe sicuramente un successo ed una libidine da non perdere per i fan del genere.


 

DISCOGRAFIA:


Ska/Rocksteady:          Clancy Eccles - “Feel The Rhythm” - CD Jamaican Gold 1997
(nella veste di cantante e produttore di se stesso);

[qui la recensione di Feel The Rhythm]

Clancy Eccles - “Rock Steady Intensified!” - CD/LP Heartbeat Records 1990 (come cantante e produttore di altri artisti tra cui Larry Marshall, Joe Higgs, Alton Ellis e Monty Morris);

Rocksteady/Early Reggae:   Clancy Eccles  - “Fire Corner” - LP/CD Clandisc/Trojan 1969
                                            (strumentali con e senza toasting di King Stitt);

                                   Clancy Eccles & The Dynamites - “Herbsman Reggae” - CD/LP Clandisc/Trojan 1970 (che dire di Herbsman Shuffle?!);

                                    The Dynamites are “The Wild Reggae Bunch” - CD Jamaican Gold 1996 (16 tracce alcune tratte dal disco precedente cui se ne aggiungono altre interessanti di epoca anteriore a dare una retrospettiva ancor più approfondita e completa del lavoro di Winston Wright & Co.);

                                   Clancy Eccles & Friends - “Fatty Fatty” - LP/CD Trojan 1988 (eccetto qualche ripetizione dai precedenti e dai successivi, grande esempio di varietà del produttore Clancy Eccles, cantati e strumentali);

                                    King Stitt - “Reggae Fire Beat” - CD Jamican Gold 1996 (il meglio in assoluto il DJ King Stitt lo diede nelle produzioni di Clancy Eccles e la splendida raccolta lo dimostra ampiamente);

                                   Clancy Eccles & The Dynamites “Nyah Reggae Rock” CD Jamaican Gold 1997 (senza dubbio il più completo e convincente insieme di canzoni magistralmente interpretate da Clancy o feroci, indimenticabili strumentali di potente Early Reggae);

Reggae:                      Clancy Eccles - “Joshua’s Rod Of Correction” - CD Jamaican Gold 1996 (contiene tracce dal 1967 al 1983 e rispecchia il risvolto più politico del non per questo meno grande Clancy e, bene o male, i Dynamites "sun semper lì");

Si aggiunge, per amor del vero, che la discografia è, ovviamente, incompleta non avendo il sottoscritto ancora potuto ascoltare ben 3 ulteriori CD dedicati alle produzioni di Clancy da parte della Jamaican Gold.
Inoltre si precisa che tutte le informazioni accorpate in quella che vorrebbe essere una biografia, sono state tratte dalle “bibbie” Reggae the Rough Guide di  Steve Barrow and Peter Dalton (Rough Guide Ltd) 1997 e The Guinness Who’s Who of Reggae Colin Larkin edizioni, 1994 oltre che dalle solite e complete informazioni contenute nei dischi Heart Beat e Jamaican Gold il cui leggendario Professor Aad van der Hoek (aka Dottor Buster Dynamite) si coglie l’occasione di ringraziare pubblicamente per il certosino, enciclopedico lavoro di divulgazione che svolge. 

Luglio 2002

A cura di Sergio Rallo




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