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Pensando alla musica giamaicana che risponde al nome più breve che si sia mai attribuito ad un genere musicale e cioè "Ska" so, per esperienza, che c’è gente che storce il naso. Premettendo che sui gusti non si discute, sia lecito criticarli.
Perché, vedete, chi storce il naso, io lo so, ha delle idee sbagliate in merito a tale musica.
Ritiene che lo Ska sia un genere d’inconsistente spessore artistico (gli vien da pensare a musica per le comiche o, peggio, a quella circense!) e di mediocre, anche perché recente, profilo culturale. Salvo poi trovare che spesso, chi storce il naso, si soddisfa ascoltando musica che ha dimenticato da tempo cosa siano ritmo e melodia, per preferire rumori ritmati e urla magari fatti al computer.
Poi c’è a chi gli vengono in mente errati ricordi circa una certa connaturazione politica di questa musica, risalenti alla fine degli anni ’70 e inizi ’80. E cioè che gruppi come i Madness (si, quelli diventati famosi in tutto il mondo con il rifacimento di uno strumentale Ska giamaicano – autore il musulmano Prince Buster – dal titolo "One Step Beyond") anzi, i Madness in particolare, fossero degli estremisti di destra, dei "nazi". Come "nazi" doveva essere il cantante dei Bad Manners, per il look palesemente da skinhead.
Chi non storce il naso sono invece gli studenti del liceo che però, molto spesso e come altri prima di loro, pensano che lo Ska sia una derivazione del Punk o dell’Hardcore grazie al vasto consenso di pubblico che hanno avuto negli ultimi anni gruppi americani Ska-core come gli Operation Ivy, Mighty Mighty Bosstones o come gli italiani Punkreas.
Le suddette sono tutte considerazioni errate per un genere musicale che compirà quaranta anni l’anno venturo, fissando la data della prima registrazione giamaicana nella quale è riconoscibile l’embrione di ciò che diverrà poi noto anche come Bluebeat. Un genere le cui radici vanno ricercate alle origini stesse della musica nera, essendo lo Ska la più originale miscellanea musicale i cui ingredienti primari sono il tribale e ipnotico Burru Drumming che con gli schiavi giunse dalla Madre Africa, l’allegro RnB tipo quello suonato da Louis Jordan e Joe Turner, il sincopatissimo Calypso di Trinidad che rese famoso Henry Belafonte, e tutto il Jazz degli anni ’40 e ’50.Un genere che nasce poi multietnico e multireligioso, perché alla sua nascita e sviluppo contribuirono giamaicani, cubani, cinesi, inglesi, abitanti delle piccole Antille, rasta, musulmani e cattolici. Mentre alla diffusione del ritmo hanno contribuito – pensate un po’ – Mods e Skinheads inglesi. Fu grazie alle migliaia e migliaia di giovani che seguirono nei ’60 la moda dei Moderns e alla fine del decennio quella Skinhead, che entrarono per la prima volta nella classifica inglese canzoni e musiche dell’isola più verde dei Caraibi. Il Soul dei giamaicani piaceva ai primi, quanto il cosiddetto Early Reggae piacque e fu seguito dagli skin che, all epoca (1968/69) diedero un essenziale contributo a spingere in vetta alla Hit Parade inglese il primo brano Reggae della storia ad aver raggiunto tale posto fuori dalla Giamaica. Era la bellissima "Isaraelites" cantata da Desmond Dekker. Tanto è vero che i giovani dalla testa pelata non avevano nulla a che fare con razzismo ed estremismi in genere, che parecchi artisti neri – certo anche per assicurarsi una vendita sicura – dedicarono a tale culto e ai loro fan un cospicuo numero di canzoni e musiche. I Symarip intitolavano un LP "Skinhead Moonstomp", il bravissimo Laurel Aitken, a ragione noto come "Godfather of Ska" per aver registrato la prima canzone di un artista locale ad entrare nella classifica giamaicana, scrisse "Skinhead Train" mentre un meno famoso Joe The Boss dedicava loro un brano dal titolo "Skinhead Revolt", in un’epoca, quella tra il ’68 e il ’72, in cui gli artisti preferiti da tali giovani erano Clancy Eccles coi suoi Dynamites, Prince Buster, Derrik Morgan e gli Upsetters di Lee Perry.
Che poi, per una serie di cause sociali che nulla hanno a che spartire con la musica, una parte di quei giovani – look bomber più marten’s compreso – sia finita tra le fila di movimenti idioti come il British Movement o il National Front alla fine degli anni ’70, beh, questo è un loro problema, non dello Ska.
Poi lo Ska, non essendo il Reggae tecnicamente altro che una sua costola, ha avuto negli ultimi 20 anni, una enorme e non riconosciuta influenza sulla musica popolare di tutto il mondo. Se si facesse andare la memoria a certi successi internazionali di Paul Simon, Police, UB40, Paul Young, Boy George, Eric Clapton, Men at Work o italiani, dai ’60 ad oggi, di Mina, Rita Pavone, Celentano, Gino Paoli, Matia Bazar, Loredana Bertè, Rettore, Rino Gaetano, Renato Zero ed è meglio fermarsi qui perché l’elenco è lunghissimo, si scoprirebbe che il ritmo Ska/Reggae col suo pulsante, dolcemente ripetitivo e, per questo, ipnotico andamento è già da tempo parte di noi.
Fin dalla sua nascita lo Ska è sempre stato in evoluzione. Dal primo Boogie o Shuffle nei ’50 e ’60 allo Ska tipico del periodo ‘62-’66, dal Rocksteady ‘66-’68 all’Early Reggae (Reggay nel primo spelling) del ‘68-’72, il genere è stato in grado di esprimere eccellenti talenti. Spesso così bravi da chiedersi come mai non siano diventati tutti famosissimi come Bob Marley e Peter Tosh. L’eccelso Ernest Ranglin, oggi chitarrista Jazz di fama, è colui che inventò la tipica chitarra ritmica dello Ska e del Reggae, i tastieristi Jackie Mitoo e Wiston Wright, i superiori talenti vocali di Jackie Opel (che ballava come James Brown e aveva un’estensione vocale di tre ottave!) e Slim Smith, Doreen Shaffer e Marcia Griffiths, degli Heptones e Techniques e di Toots & The Maytals, il trombonista virtuoso Donald "Don The Lion" Drummond, uno dei primi musicisti di fede rasta, che col suo strumento non suonava ma comunicava, e tutto il resto della variabile formazione dell’orchestra Tommy McCook & The Skatalites cui è ascritta la precisa definizione dei canoni stilistici non solo dello Ska ma, come ha già capito l’attento lettore, del Rocksteady prima e del Reggae poi.
Ed anche con questo elenco è meglio fermarsi, perché si dovrebbe scrivere un’intera enciclopedia al riguardo…
Pezzi dai ritmi più Rocksteady o Ska che Reggae sono presenti in abbondanza nella discografia giamaicana e inglese tra il ’70 e il ’78 quando, sulla scia dell’interesse che gruppi Punk internazionalmente famosi come i Clash ebbero per la musica giamaicana, gli Specials, i Madness, i The Beat, i Selecter e i Bad Manners fecero esplodere in Inghilterra e di lì in tutta Europa un nuovo "Skacraze" che ebbe il culmine nell’estate dell’80.
Anche in Italia ovviamente, i Madness, gli Specials e i Bad Manners entrarono in classifica. E se nessun gruppo Ska italiano nei primi ’80 ha lasciato tracce tangibili, ciò bastò per ispirare i Casino Royale a suonare il genere, ricevendo un buon successo di pubblico e fama europea in quella che da più parti è indicata essere la seconda nuova ondata Ska (la prima essendo quella cosiddetta Two Tone, dal nome dell’etichetta degli Specials del 1979).
A differenza della prima che ebbe punto di divulgazione in Inghilterra, l’ondata dell’89 sembrò esplodere contemporaneamente in più parti del mondo. Dal Giappone, agli USA, dal Canada alla Germania e dall’Olanda in Italia, dove oltre ai Casino Royale si facevano un nome gli Strange Fruit, i Downtowners, i Filodatorcere e Mobster di Roma, gli Spy Eye di Trieste, i Persiana Jones e Statuto in Piemonte per citare quelli di qualche rilievo.
E se si crede ai ricorsi storici, aspettate con fiducia il ’99 poiché lo scossone dato dalla piccolissima Giamaica ha fatto alzare un’onda che si pensava avesse avuto come culmine il Reggae di Bob Marley ai vertici in tutte le classifiche mondiali nei ’70, ed invece continua a montare. In tutto il continente americano non c’è uno stato, e sono compresi singolarmente tutti gli stati degli USA, che non abbia un gruppo che suoni Ska, così in Australia e Nuova Zelanda, Giappone ed Europa. Così gli influssi dello Ska si sentono vivacemente anche da noi in Italia, dove oggi si può contare, non solo su di un circuito non ufficiale fatto da locali e centri sociali dove notoriamente si fanno serate "sound system" e si ospitano band italiane e straniere, ma anche su un numero vertiginosamente in crescita di gruppi che suonano, pensano di suonare o, autocertificandosi come "gruppo Ska" non suonano affatto Ska. Se ci si vuole avvicinare allo Ska italiano si può contare su Persiana Jones, che propone uno Ska agitatissimo e teso, sui milanesi Vallanzaska che suonano uno Ska demenziale su arrangiamenti piuttosto elaborati in linea con Elio e le Storie Tese, sullo Ska-jazz degli Smarts o sullo Ska-crossover dei Fratelli di Soledad e degli Strike e su una miriade di gruppi riconoscibili dal gioco di parole con Ska: Matrioska & la Buz Band, Data di Skadenza, Skala di Fiura, Skantinato. Ma poi anche Rebel Dës, Bassistinti, Fahrenheit 451, Stiliti e Specialisti.
A conferma poi del vivo interesse per questa musica è in uscita la prima seria compilation di Ska italiano – "Italian Ska Invasion" – che si prefigge di fare una panoramica su questo genere nel nostro oblungo paese.
E, se non bastasse ancora, non possiamo che invitarvi a skankeggiare sempre più sui lidi di SkabadiP...
a cura di Sergio
Rallo
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